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IV° ED ULTIMA PARTE. LE PRECEDENTI SU

 

IN MATERIA DI RI-ORGANIZZAZIONE DELLA TURNISTICA IN SANITA’ – LEGISLAZIONE I° PARTE

http://www.compartosanita.it/materia-ri-organizzazione-della-turnistica-sanita-legislazione-ii-parte/

http://www.compartosanita.it/materia-ri-organizzazione-della-turnistica-sanita-legislazione-iii-parte/

Sentenza Sezione regionale Liguria n. 153/2014 Danno erariale in caso di assenza arbitraria dal lavoro

La sentenza interviene sulla materia del risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dalla abituale condotta assenteista realizzata, con modalità fraudolente, da alcuni dipendenti pubblici alla amministrazione di appartenenza. Nello specifico i giudici evidenziano, che deve essere risarcito il danno patrimoniale relativo ai periodi lavorativi in cui gli interessati sono risultati falsamente presenti in servizio per indebita percezione di compensi erogati senza ricevere in cambio la corrispondente attività lavorativa in conformità al dettato normativo di cui all’ art. 55 – quinquies, commi 1 e 2 del d.lgs 165/2001, fermo restando le responsabilità penali e disciplinari e le relative sanzioni. Mentre, riguardo alla risarcibilità del danno non patrimoniale, inteso come danno all’immagine e al prestigio della pubblica amministrazione, l’orientamento della Corte è che, attenendo tale pregiudizio ad un bene immateriale, la sua quantificazione va disposta in considerazione della concreta dimensione della lesione stessa, da valutare in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.

https://www.aranagenzia.it/index.php/sezione-giuridica/sezione-giuridica/corte-dei-conti/6255-sentenza-sezione-regionale-liguria-

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Corte di Cassazione – sentenza n. 35344 del 29 settembre 2011

Truffa aggravata per il dirigente che protegge l’assenteista . Condannato per il reato di truffa aggravata il dirigente che non impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni nell’osservanza dell’orario di lavoro, creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti di alcuni di essi.

La Cassazione, con sentenza n. 35344 del 29 settembre 2011, ha affermato che rischia la condanna per truffa aggravata il dirigente che a fronte della falsa attestazioni della presenza in ufficio da parte di alcuni dipendenti, non solo non si adoperi per sanzionarli ma addirittura ostenti nei loro confronti un atteggiamento di favore tale da incoraggiarne la condotta fraudolenta.

La Suprema Corte evidenzia che: “concorre nel reato con condotta commissiva – anziché mediante omissione ai sensi dell’art. 40, 2 comma c.p. – il dirigente di un ufficio pubblico che non soltanto non impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni nell’osservanza dell’orario di lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema computerizzato di controllo delle presenze, ma favorisca intenzionalmente tale comportamento creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti dei correi, in modo tale da creare intorno ad essi un’aurea di intangibilità, disincentivare gli altri dipendenti dal presentare esposti o segnalazioni al riguardo e così affievolire, in ultima analisi, il cosiddetto ‘controllo sociale’ “….”tale condotta ha valenza agevolatrice del reato anche solo per il sostegno morale e l’incoraggiamento che i dipendenti infedeli ricevono da una simili situazione di favore; senza che occorra accertare se il dirigente dell’ufficio avesse o meno potere il potere di impedire la consumazione del reato”.

http://www.dplmodena.it/cassazione/sentenze/vigilanza/35344-11.html

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CORTE DEI CONTI LOMBARDIA SENTENZA N. 64 DEL 12 MARZO 2013

Nella fattispecie in esame di sono contestate varie condotte illecite foriere sia di danno patrimoniale diretto sia di danno d’immagine per avere i convenuti, in concorso morale e materiale tra loro, la condotta di truffa aggravata e continuata, commessa in danno di un ente pubblico, perché con artifici e raggiri, consistiti nella falsa rappresentazione della loro presenza in ufficio, si procuravano un ingiusto profitto costituito dalle somme così indebitamente percepite. E’ infatti evidente che l’aver creato “un’aurea di intangibilità” ha inevitabilmente generato negli altri dipendenti uno stato di profonda frustrazione e confusione, ciò è confermato anche dalla condanna in via definitiva per il delitto di violenza privata art. 610 c.p. per avere costretto ad omettere qualunque iniziativa per fatti di cui erano venuti a conoscenza in ragione del proprio ufficio, utilizzando il potere intimidatorio dato dal rapporto di subordinazione delle parti lese con il Direttore e dalla insita minaccia di conseguenze negative se non si fossero adeguati all’organizzazione dell’ufficio (sentenze ex art. 444 cpp nn. 792-1072-1079/2007

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CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE – SENTENZA 3 maggio 2011, n.17096

MASSIMA

1. In tema di truffa in danno dell’ente pubblico, la mancata timbratura del cartellino da parte di un dipendente è un espediente idoneo ad evitare che l’azienda ospedaliera, attraverso i sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, si accorga delle anomalie e continui a pagare al soggetto l’intera retribuzione.

2. L’art. 340 c.p. tutela non solo l’effettivo funzionamento di un servizio pubblico, ma anche l’ordinato svolgimento di esso, sicché, ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo non ha rilievo che la interruzione sia stata solo temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso. (Nella specie, la Cassazione ha confermato la condanna del medico che abbandonava il reparto prima che finisse il proprio turno, senza timbrare il cartellino marca tempo, non rilevando l’eventuale disponibilità da parte dei colleghi di supplire le assenze e i ritardi)

CASUS DECISUS

Il Tribunale di Udine condannava D.G. alla pena di un anno di reclusione ed Euro 500,00 di multa con i doppi benefici di legge, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, per i reati di truffa continuata ai danni di ente pubblico e di interruzione di pubblico servizio, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante. L’imputato, tramite difensore, ricorreva per cassazione.

ANNOTAZIONE

Nella sentenza in epigrafe, gli ermellini confermano la condanna del medico che, avendo simulato il rispetto dell’orario di lavoro allo scopo di ottenere il pagamento dell’intera retribuzione, ometteva di timbrare il cartellino nel corso della pausa pranzo. Ciò, a detta dei giudici di legittimità, rappresenta un espediente idoneo ad evitare che l’azienda ospedaliera, attraverso i sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, si accorga delle anomalie e continui a pagare al soggetto l’intera retribuzione, integrando pertanto il reato di truffa in danno dell’ente pubblico.

TESTO DELLA SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE – SENTENZA 3 maggio 2011, n.17096 – Pres. Sirena – est. NuzzoSvolgimento del processo

D..G., tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste,in data 5.5.2010,confermativa della sentenza 17.5.08 del Tribunale di Udine che lo aveva condannato alla pena di un anno di reclusione ed Euro 500,00 di multa con i doppi benefici di legge, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita,da liquidarsi in separata sede, per i reati di truffa continuata ai danni di ente pubblico e di interruzione di pubblico servizio, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante. Il ricorrente deduceva:

1) manifesta illogicità della motivazione in ordine agli artifici e raggiri ed al danno del reato di truffa (perché il G., in qualità di dirigente medico in servizio presso il reparto oncologia dell’Azienda Ospedaliera (omissis), abbandonava abitualmente il reparto prima della fine del proprio turno di servizio senza effettuare, in uscita, la timbratura del cartellino marca tempo … facendo apparire falsamente di aver prestato la propria opera per un numero di ore giornaliere superiore a quello ordinario); i giudici di appello avevano ritenuto che la timbratura del cartellino avesse costituito un espediente per simulare il rispetto dell’orario di lavoro allo scopo di ottenere indebitamente il pagamento dell’intera retribuzione; in realtà l’intera retribuzione sarebbe/comunque, spettata al G. per aver lavorato 38 ore settimanali, pari al numero di ore minimo secondo il contratto collettivo, a prescindere dal rispetto di un orario continuato o spezzato per l’assenza durante la pausa pranzo; ne conseguiva l’assenza del danno, avendo fra l’altro, il G. compensato l’assenza in pausa pranzo con la presenza pomeridiana, come risultava dagli atti processuali;

2) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 640 c.p. in relazione al requisito degli artifici e raggiri e del danno della persona offesa;

La Corte territoriale era incorsa in errore di diritto, avendo qualificato come artificio o raggiro “una condotta neutra” da cui non era derivata alcun danno per la persona offesa in quanto il G. aveva titolo per ottenere l’intera retribuzione per aver espletato il minimo di ore previste dal contratto collettivo,senza che rilevasse l’aver osservato l’ordine di servizio relativo all’orario continuato;

3) contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza della interruzione di pubblico servizio ex art. 340 c.p.,avendo la Corte d’Appello fatto riferimento ad elementi che non trovavano conferma negli atti processuali da cui non emergeva un apprezzabile turbamento del servizio; incorrendo in errore di diritto, i giudici di appello avevano qualificato come interruzione di pubblico servizio i ritardi dell’imputato e gli allontanamenti per la pausa pranzo,nonostante che da tali condotte non fosse derivato un turbamento non irrilevante del servizio. Con memoria difensiva, in data 17.2.2011, la parte civile, Azienda Ospedaliera (omissis), di Udine, in persona del direttore generale, contestava i motivi di ricorso sulla base della motivazione della sentenza impugnata e chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Sotto il profilo apparente del vizio di motivazione, in realtà, il ricorrente propone censure di merito, prospettando una valutazione delle prove e dei fatti, diversa da quella effettuata dai giudici di merito e non consentita in sede di legittimità in quanto le argomentazioni della Corte territoriale, poste a fondamento della decisione, sono esenti dal vizio di manifesta illogicità e sono compatibili con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

I giudici di appello hanno dato conto, in particolare, sulla base della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure, non contestati nella loro materialità, come affermato nella sentenza impugnata(“l’imputato non ha contestato di essersi assentato abitualmente dal lavoro, nell’orario di pranzo, senza timbrare il cartellino in uscita e al rientro”) della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa continuata in danno di ente pubblico.

In particolare, i giudici di merito hanno evidenziato che il G. non ha provato di aver lavorato oltre l’orario stabilito e per un numero di ore esattamente pari a quelle in cui si è indebitamente assentato senza timbrare il cartellino; peraltro, se pure i diretti superiori ed i colleghi del ricorrente erano a conoscenza del fatto che egli usciva dall’ospedale per la pausa- pranzo, non nascondendo il fatto di non timbrare il cartellino in uscita e al rientro, non poteva escludersi la sussistenza degli artici e raggiri, oltreché dell’ingiusto profitto con altrui danno, tenuto conto che “l’ente pubblico è spersonalizzato, che la frode era diretta contro l’ente pubblico e che il pagamento delle retribuzioni avveniva in forma automatica, da parte della direzione amministrativa, con la lettura dei cartellini orari da parte di un elaboratore”. Ne consegue che, correttamente, la mancata timbratura del cartellino è stato ritenuto un espediente idoneo ad evitare che l’azienda ospedaliera, attraverso i sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, non si accorgesse delle anomalia e continuasse a pagare al G. l’intera retribuzione, come in concreto avvenuto. La configurabilità del reato di cui all’art. 340 c.p. è stata pure adeguatamente motivata, in conformità alla giurisprudenza in materia della S.C., avuto riguardo alla sistematicità dei ritardi dell’imputato all’inizio delle visite mediche ed all’assenza alle riunioni del reparto. Occorre poi ribadire che l’eventuale disponibilità da parte dei colleghi del G. a supplire alle assenze e ritardi di quest’ultimo non rileva ai fini della condotta penalmente sanzionata; il turbamento non irrilevante del servizio è stato, peraltro, contestato con riferimento alla interruzione del servizio medico del reparto ospedaliero, “per completa scopertura del servizio di guardia attiva, non essendovi, in tal casi, altri medici presenti presso la struttura”. Va, comunque, rammentato che, la S.C. ha ravvisato la ratio del reato di cui all’art. 340 c.p. nella tutela non solo dell’effettivo funzionamento di un servizio pubblico, ma anche nell’ordinato svolgimento di esso, sicché, ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo non ha rilievo che la interruzione sia stata solo temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso (Cass. n. 44845/2007; n. n. 24068/2001).

Il ricorso, alla stregua di quanto osservato, va rigettato. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile costituita, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile,Azienda Ospedaliera Universitaria, (omissis), liquidate in complessivi Euro 3.500,00 oltre spese generali, IVA e CPA.


http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=6286

file:///C:/Users/Utente%20ASL/Downloads/Reato%20di%20truffa%20e%20rischio%20reclusione%20per%20chi%20dimentica%20di%20timbrare%20(1).pdf

http://www.self-entilocali.it/wp-content/uploads/2011/05/Reatto-di-Truffa-Gpi-n-6-2011.pdf

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Corte dei Conti – Sez. Giur. Centrale; Sent. n. 682 del 15.12.2010

Con la sentenza evidenziata in epigrafe, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Umbria ha condannato la sig.ra X. X., infermiera coordinatrice della sala operatoria della struttura complessa di chirurgia generale e di urgenza dell’azienda ospedaliera S. Maria della X. di X., al pagamento in favore dell’Erario della somma di euro 4.169,81 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, ritenendola responsabile di illecite assenze dal servizio nel periodo aprile/ottobre 2006, invece regolarmente retribuite. In particolare la sentenza impugnata ha sostenuto che risulterebbero verificati tutti i presupposti che connotano la responsabilità amministrativa patrimoniale, costituiti dal rapporto di servizio intercorrente tra convenuta e danneggiata, dal pregiudizio sofferto da quest’ultima in termini di mancata soddisfazione delle prestazioni esigibili a fronte della retribuzione erogata, dall’antidoverosità della condotta tenuta dalla dipendente, dal nesso causale tra la condotta stessa ed il danno rilevato, nonché dall’elemento psicologico nel grado richiesto, definibile in fattispecie quale dolo (contrattuale). In sostanza, la X., secondo il Giudice di prima istanza, con piena coscienza e volontà, s’è sottratta al dovere di esser presente nella struttura sanitaria dove svolgeva la propria attività alle dipendenze dell’azienda ospedaliera “S. Maria della X.” di X., benché avesse fatto constare tale propria presenza nel luogo di lavoro, non avendo, dunque, reso – per i lassi temporali considerati – la prestazione richiesta, pur senza alcuna corrispettiva decurtazione della retribuzione.

file:///C:/Users/Utente%20ASL/Downloads/682_2010%20(2).pdf

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DIVIETO MONETIZZAZIONE FERIE

 

Sentenze della Corte europea di giustizia, della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato, della Corte di Cassazione e della Corte dei conti.

Corte europea di giustizia, causa C-118/13 del 12 giugno 2014

Le ferie retribuite e non godute per cause non attribuibili al dipendente, o per la fine del rapporto di lavoro, danno diritto ad una tutela risarcitoria. In tal senso non solo sentenze della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione, ma anche sentenze della Corte europea di giustizia. Sentenza Corte europea n.118-2014

Corte costituzionale, sentenza n. 181 del 23 giugno 2014

I giudici delle leggi dichiarano l’incostituzionalità di alcune norme della legge n. 5/2013 della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e tra queste, quella di interesse, è l’art. 10 comma 5, relativo alle posizioni orizzontali ed al conferimento delle posizioni economiche. Tale norma si pone in contrasto con l’art. 9 comma 21 (norma che ha natura di principio di coordinamento della finanza pubblica) del d.l. n. 78/2010, nella parte in cui non precisa che il conferimento di dette posizioni può avere esclusivamente effetti giuridici. Sentenza Corte cost. n.181-2014

Consiglio di stato, sezione VI, sentenza n. 3407 del 4 luglio2014

Scorrimento graduatorie indizione nuovo concorso.

I giudici amministrativi intervengono relativamente alla legittimità di indizione, da parte di una Università, di una nuova procedura concorsuale in presenza di una graduatoria ancora valida di una precedente tornata concorsuale, per la copertura di posti di profilo identico a quello cui si riferisce il nuovo bando concorsuale.

Il Collegio conferma la sentenza del giudice di primo grado e ribadisce, alla luce del consolidato quadro normativo, che in presenza di graduatorie valide ed efficaci, per nuovo personale l’amministrazione deve provvedere, normalmente, attraverso lo scorrimento delle stesse; pertanto, la possibilità di bandire un nuovo concorso costituisce ipotesi eccezionale, considerata con sfavore dal legislatore più recente in quanto contraria ai principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, principi applicabili, evidentemente, anche alla fase organizzativa in cui l’amministrazione stabilisce tempi e modalità con cui far luogo alla provvista di nuovo personale. Inoltre, riguardo alla specifica fattispecie, i giudici amministrativi ritengono, non diversamente da quanto opinato dai giudici di primo grado, che una semplice sopravvenienza normativa, per quanto di grande impatto sull’assetto ordinamentale delle università italiane, non possa rappresentare motivazione sufficiente della determinazione di far luogo a nuova selezione di personale in presenza di candidati già utilmente selezionati per il medesimo profilo di inquadramento.Sentenza Consiglio di Stato n.3407-2014

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 10352 del 13 maggio 2014

La Corte di Cassazione ha stabilito che tra gli obblighi di correttezza e diligenza del prestatore di lavoro rientra anche quello di comunicare tempestivamente le proprie assenze. Il mancato rispetto di tale obbligo può anche giustificare il licenziamento, posto che la mancata comunicazione delle assenze, oltre ad arrecare al datore di lavoro un pregiudizio organizzativo, lede di per sé i doveri fondamentali connessi con il rapporto di lavoro. La sentenza riguarda una lavoratrice privata ma i principi enunciati sono applicabili anche ai dipendenti pubblici. Sentenza Corte Cass. n.10352-2014

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 10413 del 14 maggio 2014

Il dipendente che in una situazione di reggenza svolge di fatto mansioni superiori (dirigenziali) ha diritto, per il periodo dello svolgimento di tali mansioni, ad un trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore, ma tale trattamento temporaneo, non ha nessuna incidenza sulla indennità di buona uscita, che deve essere commisurata esclusivamente al trattamento retributivo relativo alla qualifica di appartenenza. Sentenza Corte Cass. n.10413-2014

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 10662 del 15 maggio 2014

In questa importante sentenza i giudici chiariscono quali sono i principi che debbono essere applicati in caso di contestazione disciplinare, principi validi sia per il datore di lavoro privato che per quello pubblico.Sentenza Corte Cass. n.10662-2014 

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 12806 del 6 giugno 2014

In tema di licenziamento disciplinare la Corte ha stabilito che nella valutazione della condotta del lavoratore, per determinare la sanzione rispetto alla infrazione contestata, si debba tenere conto anche del “disvalore ambientale” che questa può assumere in virtù della posizione professionale del lavoratore stesso, potendo divenire per gli altri colleghi un modello diseducativo e disincentivante dal rispetto degli obblighi. Sentenza Corte Cass. n.12806-2014

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 12884 del 9 giugno 2014

Con questa sentenza i giudici hanno ritenuto ammissibile la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, dicono infatti gli Ermellini: “Si è affermato, infatti (cfr Cass n 837/2008. n 27104 2006) che la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso, con il conseguente potere del giudice – e senza violazione del principio generale di cui all’art. 112 cod. proc. civ. – di valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo (fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto), attribuendo al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest’ultimo tipo di licenziamento”. Sentenza Corte Cass. n.12884-2014

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 13558 del 13 giugno 2014

La Corte si pronuncia di nuovo in merito alla indennità dovuta per i turni nei giorni festivi, ribadendo il suo precedente orientamento. Ordinanza Corte Cass. n.13558-2014

Corte dei conti, sezione di controllo per la Sicilia, deliberazione n. 77 del 5 giugno 2014

Divieto monetizzazione ferie – interpretazione articolo 5, co. 8 d.l. 95/2012 convertito in l. 135/2012.

La Sezione si esprime relativamente al divieto di monetizzazione delle ferie non godute, introdotto dall’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012, convertito in l. 135/2012. A parere dei giudici, il legislatore, introducendo tale principio, ha inteso anche evitare abusi dovuti all’eccessivo ricorso al fenomeno della monetizzazione delle ferie non fruite, a causa dell’assenza di programmazione e controlli da parte dell’amministrazione, in relazione alla gestione del personale, ed ha voluto così favorire anche una maggiore responsabilizzazione nel godimento del diritto alle ferie.

Inoltre, con specifico riferimento all’alveo applicativo del divieto introdotto dalla norma, il Collegio ritiene, in assenza di un regime transitorio, salvaguardare le situazioni di diritto consolidatesi prima dell’entrata in vigore del decreto al fine di non attribuire effetti retroattivi alla norma e di conseguenza devono ritenersi esclusi i rapporti di lavoro già cessati alla data di entrata in vigore del citato decreto, nonché le fattispecie in cui le giornate di ferie siano state maturate prima dell’entrata in vigore della norma e ne risulti incompatibile la fruizione a causa della sopravvenuta cessazione del rapporto di lavoro, intendendosi, per sopravvenuta cessazione del rapporti di lavoro, qualunque evento imprevisto e non dipendente dalla volontà del lavoratore.   Deliberazione Corte conti Sicilia n.77-2014

 

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, sentenza n. 89 del 20 maggio 2014

Corresponsione dell’indennità di rischio radiologico per personale diverso dai medici e dal personale di radiologia – valutata da apposita Commissione.

I giudici condannano un dipendente Asl al risarcimento del danno per avere percepito l’indennità di rischio radiologico ed avere fruito del previsto congedo annuale in assenza delle condizioni previste dalla legge La motivazione, che sottende la decisione del Collegio, risiede nell’orientamento della giurisprudenza costante, a partire dalla giurisprudenza costituzionale che aveva stabilito che l’indennità di rischio radiologico deve riconoscersi a quei lavoratori che, pur non appartenendo al settore radiologico, sono esposti ad un rischio non minore per continuità ed intensità di quello sostenuto dal personale di radiologia, quindi, ai fini della corresponsione di detta indennità, l’unica diversità che residua nei rapporti tra il personale di radiologia e il personale diverso, è costituita dal regime probatorio. La giurisprudenza amministrativa ha confermato tale orientamento tanto da ritenere fondamentale un accertamento sulle singole situazioni concrete a cura dell’apposita Commissione che deve procedere all’accertamento basandosi su dati formali certi, quanto alla rilevazione e all’interpretazione e idonei a rappresentare con continuità il concreto svolgimento dell’attività degli interessati comportante una esposizione alle radiazioni ionizzanti, gravando su di essa la responsabilità degli esborsi conseguenti all’eventuale riconoscimento dei presupposti per l’attribuzione dell’indennità (CdS III n. 155/2013). Sentenza Corte conti Toscana n.89-2014

Corte dei conti, sezione di controllo per la Sardegna, deliberazione n. 39 del 17 luglio 2014

Enti locali – il personale comandato può essere sostituito con personale a tempo determinato.

I giudici si esprimono in ordine alla applicazione della disciplina vincolistica in materia di assunzioni e di contenimento della spesa di personale relativamente all’assunzione a tempo determinato, finalizzata alla sostituzione di un dipendente in comando presso altra amministrazione. Preliminarmente, il Collegio sottolinea la imprescindibilità del duplice requisito della temporaneità e dell’eccezionalità dell’esigenza, richiesto dal legislatore, per il legittimo ricorso a tale tipologia di assunzioni, inoltre, con specifico riguardo alla fattispecie in esame, evidenziano la necessità dell’integrale e rigoroso rispetto del complesso delle disposizioni dei vincoli e dei “tetti di spesa” operanti in materia di personale nei confronti degli enti sottoposti al patto di stabilità interno. Pertanto, l’Ente locale per potere procedere ad assunzioni di qualsiasi tipo deve sia rispettare i vincoli del patto di stabilità, sia garantire che l’incidenza delle spese per il personale non sia superiore al 50/% delle spese correnti , sia ridurre in ogni caso la complessiva spesa per il personale; pertanto ove non sussistano situazioni ostative all’assunzione derivanti dal quadro normativo vigente, restano ferme la piena e esclusiva discrezionalità dell’ente nel procedere o meno all’assunzione in oggetto e le eventuali conseguenti responsabilità in capo ai dirigenti in caso di violazione di detti limiti e vincoli.

 

https://www.aranagenzia.it/araninforma/index.php/luglio-agosto-2014/252-giurisprudenza/1101-sentenze

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CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO

Sentenza 26 novembre 2014 n. 25159

…Il primo giudice aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice in data 24 marzo 2006, ritenendo che l’assenza contestatale e relativa ad un periodo di ferie che, secondo la datrice di lavoro, la stessa si sarebbe unilateralmente attribuita, non potesse essere ritenuta ingiustificata, in quanto, a precisa richiesta della lavoratrice, la società datrice di lavoro,pur avendo concesso solo in parte il periodo richiesto, tuttavia non aveva neppure espressamente rigettato la domanda per il periodo residuo; inoltre in relazione al conteggio delle ferie spettanti alla lavoratrice, relative anche all’anno precedente, si era verificata una situazione di confusione ed incertezza dovuta al fatto che in precedenza la L.P. era stata licenziata e quindi reintegrata, cosicché le ferie relative alla pregressa fase del rapporto di lavoro, secondo l’azienda, le sarebbero state già liquidate all’atto dei licenziamento e non le sarebbero più spettate in natura…

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.).

Lamenta che i giudici di appello pervennero erroneamente a conclusioni opposte a quelle del Tribunale, circa la spettanza o meno delle ferie alla lavoratrice e l’irrilevanza dell’obiettiva confusione circa il numero di giorni di ferie spettanti alla lavoratrice.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 c.c. e 52 del c.c.n.l. di categoria (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per avere mal valutato la gravità del comportamento e la proporzionalità della relativa sanzione adottata, anche alla luce della contrattazione collettiva che pone in risalto l’intenzionalità del comportamento addebitato. 3.-Con il terzo motivo la lavoratrice denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.), inerente la sua buona fede a fronte dell’obiettiva incertezza circa i giorni di ferie spettantile.

4.- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili (laddove sottopongono a questa Corte una nuova valutazione delle circostanze di fatto circa gli atti e comportamenti adottati dalle parti prima del godimento delle ferie, ex plurimis Cass. n.10833\10; n.8718/2005; n.15693/2004; n.2357/2004), e per il resto infondati.

Ed invero, premesso che ben può il giudice di appello pervenire ad una valutazione delle circostanze di causa diversa da quella del primo giudice, come correttamente accertato e rilevato dal giudice d’appello nella fattispecie,è pacifica la circostanza che a fronte della richiesta della lavoratrice di fruire dei seguenti periodi di-ferie: dal 31.12.05 al 7.1.06 e dal 14.1.06 al 4.2.06, la risposta della società era stata assolutamente chiara ed inequivocabile: “le vengono autorizzate le seguenti giornate di ferie: dal 31.12.05 al 7.1.06, giorni 6″. Sicché, conclude logicamente la Corte di merito, per quanto potesse risultare incerto l’effettivo ammontare delle ferie spettanti alla lavoratrice (sulla scorta delle buste paga e del precedente licenziamento con successiva reintegra nel posto di lavoro), quel che risultava certo è che l’azienda autorizzò unicamente il periodo di ferie sopra riportato, con la conseguenza che le ulteriori pretese ferie di fatto godute dalla lavoratrice, erano frutto di una illegittima autodeterminazione e collocamento unilaterale in ferie da parte della stessa, in contrasto con l’art. 2109 c.c. (e conseguentemente, inoltre, come incontestata mente accertato dalla Corte di merito, con l’art. 53 del c.c.n.l. di categoria che sanziona col licenziamento le assenze ingiustificate per oltre dieci giorni) ed il consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinario in materia, secondo cui il lavoratore non può scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività dell’impresa e la cui concessione costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro (Cass. n. 18166\13; Cass. n. 9816\08).

4.- II ricorso deve pertanto rigettarsi.

https://www.aranagenzia.it/araninforma/index.php/marzo-2014/34-sentenze/1288-sentenza-corte-cass-n25159-2014

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Diritto alle ferie e rispetto dell’organizzazione aziendale

È illegittimo il comportamento dell’azienda sanitaria che si rifiuti di concedere le ferie nei giorni richiesti dal medico incaricato nel servizio di emergenza sanitaria territoriale, senza indicare in quale altro periodo di tempo l’astensione dal lavoro può essere goduta dall’interessato.

Questo comportamento può essere fonte di una obbligazione risarcitoria qualora sia fornita da parte del sanitario la prova dei danni subiti, sempre che il comportamento dell’azienda non dipenda da eventi eccezionali, ma solo da una perdurante deficienza di organico cui l’azienda deve far fronte diversamente.

L’inadempimento dell’azienda sanitaria ai suoi obblighi di legge non può, peraltro, costituire per il sanitario interessato un giustificato motivo tale da consentirgli di decidere autonomamente il periodo in cui godere le proprie ferie.

D’altra parte la necessità di un equo contemperamento tra le esigenze dei medici e quelle dell’ASL e, quindi, l’illegittimità di ogni forma di iniziativa unilaterale, appare intrinseca al tipo di servizio reso, dal momento che, anche in presenza di un organico completo, sarebbe impossibile la concessione delle ferie maturate se tutti i sanitari concentrassero la loro richiesta nel medesimo periodo, pena la scopertura di un servizio essenziale come quello della medicina generale.

Questi principi sono stati affermati dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 12805/2011, depositata il 10/6/11, con la quale è stato respinto il ricorso di un medico avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona che aveva dichiarato illegittimo il comportamento del sanitario che si era posto in ferie senza la prescritta autorizzazione aziendale.

In sostanza l’eventuale illegittimità del rifiuto dell’ASL di concedere le richieste ferie può essere causativo di danni che il datore di lavoro è tenuto a risarcire in presenza di adeguata prova della loro effettiva esistenza, ma non autorizza il sanitario interessato a decidere in via unilaterale la fruizione del periodo di riposo da godere.

 

http://www.medicivicenza.org/index.php/giurisprudenza-del-medico/37-diritto-alle-ferie-e-rispetto-dell-organizzazione-aziendale.html

l medico della Asl non può scegliere quando usufruire delle ferie neanche di fronte al comportamento illegiittimo della Asl che si rifiuta di concerle. Il professionista, in sostanza, anche di fronte a una violazione da parte del datore di lavoro, non può agire in autotutela assentandosi quando vuole. La sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza 12805/2011 ha affermato il principio di diritto che vieta al medico ospedaliero, di assentarsi dal lavoro arbitrariamente (in via di autotutela) anche nel caso in cui vi sia un  comportamento illegittimo della ASL che gli proibisce di usufruire delle ferie.

I giudici di Piazza Cavour legittimità hanno giustificato tale assunto richiamando l’accordo collettivo per i medici di medicina generale, per i quali dei 21 giorni di ferie spettanti, compete al medico la scelta di 11, mentre i restanti 10 si usufruiscono esclusivamente su indicazione dell’azienda sanitaria. Al medico è data facoltà,  quindi, di scegliere, ma non può poi prescindere dal preventivo assenso della Asl che ha l’obbligo di garantire la totale funzionalità del servizio in ogni periodo dell’anno.

http://www.tuodiritto.it/il-medico-ospedaliero-non-ha-diritto-di-scegliere-le-ferie-contro-la-volonta-della-asl-cassazione-lavoro-sentenza-n-12805-del-10-giugno-2011/

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LAVORO STRAORDINARIO

Consiglio di Stato  Sentenza n. 4745 25 settembre 2013

La retribuibilità del lavoro straordinario nel pubblico impiego è condizionata alla sussistenza di una formale e preventiva autorizzazione

Con sentenza n. 4745 dello scorso 25 settembre, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello con cui veniva chiesta la condanna della AUSSL resistente al pagamento della retribuzione per il lavoro straordinario che l’appellante ha assunto di aver svolto durante gli anni 1986-1993.

Il giudice amministrativo, recependo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha affermato che, nell’ambito del pubblico impiego, il diritto del dipendente al compenso per il lavoro straordinario prestato è condizionato alla sussistenza di una formale e preventiva autorizzazione, in quanto “la circostanza che il pubblico dipendente abbia effettuato prestazioni eccedenti l’orario d’obbligo non è da sola sufficiente a radicare il suo diritto alla retribuzione, altrimenti, si determinerebbe l’equiparazione del lavoro straordinario autorizzato con quello per il quale non è intervenuto alcun provvedimento autorizzativo, compensando attività lavorative svolte in via di fatto, ma non rispondenti ad alcuna riconosciuta necessità”.

Tale autorizzazione ha lo scopo di controllare, nel rispetto del principio di buon andamento della p.a., la sussistenza di effettive ragioni di interesse pubblico alla prestazione di risorse finanziarie a tal fine destinate.

Il principio di indispensabilità della previa autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario subisce eccezione solo nel caso di “improcrastinabili esigenze di servizio” ma a condizione che intervenga, successivamente, un’autorizzazione a sanatoria.

Benché un orientamento ormai risalente abbia ammesso la rilevanza della c.d. autorizzazione implicita laddove si tratti dello svolgimento di un servizio indilazionabile che l’Amministrazione è tenuta ad assicurare e che per ragioni organizzative non possa essere svolto da soggetti diversi da quello che ne pretende il compenso, la sussistenza di tali ragioni deve in ogni caso essere adeguatamente provata in giudizio.

E’ legittimo – allora – il diniego di compenso del lavoro straordinario che il pubblico dipendente afferma di aver svolto ma che non furono autorizzate dall’Amministrazione né in via preventiva né in via successiva e neppure in sanatoria, né l’autorizzazione può ritenersi implicitamente rilasciata per ragioni di necessità ed urgenza, solo allegate ma non documentate”.

http://benedettomineo.altervista.org/la-retribuibilita-del-lavoro-straordinario-nel-pubblico-impiego-e-condizionata-alla-sussistenza-di-una-formale-e-preventiva-autorizzazione/

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CONSIGLIO DI STATO SEZIONE III, SENTENZA 3 APRILE 2013, N. 1865

…Quanto al personale sanitario il dato normativo di riferimento è chiarissimo, nel senso che non potendo il  lavoro straordinario essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro, le relative prestazioni hanno carattere eccezionale, devono rispondere ad effettive esigenze di servizio e devono essere preventivamente autorizzate…

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REPERIBILITÀ

CORTE DI CASSAZIONE, VI SEZIONE PENALE SENTENZA N. 12376/2013

Nel caso di questa sentenza (n. 12376/2013, Sesta sezione penale della Cassazione) propenderei per dare completa ragione ai giudici di Cassazione, che nel rifiuto di un medico chirurgo di intervenire in un caso di emergenza hanno ravvisato una negligenza meritevole di condanna. Oltretutto nella fattispecie la negligenza del medico  costata la vita ad un ragazzo minorenne.
Il Tribunale di Perugia, con sentenza del 6/10/2009, aveva riconosciuto colpevole e condannato il medico U.D., accusato di essersi rifiutato di intervenire per un caso di urgenza. Nonostante il professionista, un dirigente medico di primo livello presso la struttura complessa di cardiochirurgia dell’ospedale di S. Maria della Misericordia di Perugia, fosse incaricato del servizio di reperibilità esterna quale primo reperibile, nonostante i ripetuti solleciti telefonici, non aveva reputato necessario intervenire. IN questo modo aveva violato gli art. 328 c.p. e l’art. 17 del C.C.N.L. dei dirigenti medici. La sentenza era stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Perugia (sentenza del 25/05/2012).

Il medico si è opposto alla decisione giudiziale ricorrendo in Cassazione dove ha cercato di giustificare la sua scelta di non intervenire puntando sul fatto che, al momento dei fatti, aveva comunque lasciato che fosse un collega, il chirurgo vascolare dott. L. (non specializzato in cardiochirurgia come l’imputato), ad eseguire l’operazione. Sta di fatto però che quell’intervento avrebbe richiesto la sua competenza specialistica.
Tra le motivazioni del ricorso, quello secondo il quale la “Corte territoriale avrebbe dovuto accordare nella specie all’imputato il margine discrezionale di natura tecnica in ordine alla necessità ed urgenza del suo intervento, in conformità all’orientamento della Corte di legittimità che lo esclude solo se esso esuli dal criterio di ragionevolezza tecnica ricavabile dal contesto e dal protocolli medici. In realtà, conclude sul punto il ricorrente, la Corte territoriale nega al sanitario il riconoscimento della discrezionalità tecnica legando l’obbligo non alla effettività della situazione ma a fattori esterni.”

Come riportano gli atti della sentenza: “secondo il ricorrente le norme di legge invocate, invece, nulla dicono al riguardo dell’obbligo del sanitario rimandando alla disciplina interna dell’Ente.” Così che “la Corte territoriale ha ritenuto integrata la condotta materiale del delitto contestato ritenendo infondata la versione difensiva secondo la quale l’omesso intervento dell’imputato in ospedale fosse giustificato da una precisa scelta clinica, dovuta all’inutilità di procedere sul minore che non si sarebbe salvato.”

La Suprema Corte ha ritenuto nulle le motivazioni addotte dalla difesa ed ha pertanto confermato la condanna, precisando che “è orientamento di legittimità consolidato quello secondo il quale il servizio di pronta disponibilità previsto dal d.P.R. 25 giugno 1983 n. 348 è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia. Ne consegue che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall’altro, l’immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza.”

Per fortuna la legge è in grado di supplire la mancanza di rispetto dei principi stessi su cui si fonda la professione medica.

 

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