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È illegittimo il licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore del comparto sanità per superamento del periodo di comporto, nel caso in cui le assenze per malattia siano riconducibili ai postumi traumatici sofferti dal dipendente a seguito di una rapina subita nei locali della struttura ospedaliera.

La Cassazione ha raggiunto questa conclusione (sentenza 21901/2016 ) osservando che, nel caso di lavoratori esposti al rischio di rapina, l’osservanza dell’obbligo di tutela delle condizioni di salute in base all’articolo 2087 del codice civile include l’adozione delle correlative misure di sicurezza “innominate”. A tale proposito, prosegue la Corte, in presenza di una prevedibile attività criminosa di soggetti terzi, al datore di lavoro è imposta l’adozione di comportamenti specifici che, alla luce delle conoscenze sperimentali e tecniche, nonché degli standard di sicurezza normalmente osservati, si risolvano in adeguati mezzi di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori.

Il caso esaminato dalla Suprema corte è relativo al licenziamento intimato da una azienda sanitaria locale nei confronti di un dipendente che, dopo aver subito un’aggressione di notte nel reparto di radiologia dell’ospedale da parte di due persone mascherate, è rimasto assente per malattia superando il periodo massimo di comporto previsto dal contratto collettivo.
A sostegno dell’illegittimità del licenziamento, il dipendente ha affermato che il lungo periodo di assenza per malattia era imputabile a una responsabilità del datore di lavoro, perché l’ospedale non ha osservato quelle misure di sicurezza che erano necessarie per evitare di esporre il personale sanitario a rapine e aggressioni.

Il compimento di azioni criminose da parte di terzi non esclude, in altri termini, una responsabilità del datore di lavoro, se si prova che la struttura dove opera il personale è stata esposta anche in passato a furti e rapine e non sono state adottate, in relazione a tali eventi, idonee misure per assicurare l’incolumità dei lavoratori.

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