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POLCENIGO, (PN) Otto mesi per entrambi, con il beneficio della non menzione e la sospensione condizionale della pena. È la sentenza del collegio giudicante del tribunale presieduto da Eugenio Pergola (a latere Piccin e Paviotti) nel processo che vedeva imputati per tentato abuso d’ufficio un impresario di pompe funebri e la sua fidanzata, un’infermiera.

Per l’accusa, D. C., 36 anni, titolare dell’omonima impresa di onoranze funebri di Polcenigo, in concorso con la sua convivente, l’infermiera D. D., 32 anni, dipendente dell’ospedale Santa Maria degli Angeli, si era procurato un ingiusto vantaggio, con conseguente danno per altre ditte del settore.

A far scattare la denuncia era stato un impresario di pompe funebri pordenonese insospettito per la tempestività del suo concorrente nel contattare i familiari dei defunti in ospedale. Secondo la ricostruzione emersa dalle indagini, D. avrebbe avvertito il convivente quando si verificava un decesso nel reparto in cui prestava servizio, fornendogli anche i recapiti telefonici dei familiari del defunto.

C. avrebbe contattato subito dopo il decesso i parenti del deceduto, offrendo la propria opera per le incombenze e il servizio funebre. Erano difesi di fiducia dall’avvocato Maurizio Mazzarella, che ha chiesto l’assoluzione sostenendo la totale assenza di prove.

Il pm Maria Grazia Zaina aveva chiesto la condanna per entrambi a un anno e 6 mesi. Per l’accusa sussistevano quattro casi di offerte di servizi funebri per pazienti deceduti nel reparto durante l’orario di lavoro di D.. Peraltro le proposte non erano state accolte dalle famiglie dei defunti ed è uno dei punti sui quali si è basata la strategia difensiva.

Per l’avvocato Mazzarella, Checchin non aveva in realtà tratto alcun vantaggio. I contatti telefonici documentati dai tabulati fra i due fidanzati, residenti a Fontanafredda, non avevano secondo il legale alcuna rilevanza: «D. e C. si sentivano spesso ma soltanto per via del loro rapporto di coppia e parlavano di questioni personali, non dei decessi avvenuti in ospedale – ha rimarcato il legale –. Le telefonate considerate sospette di fatto erano solo due, nel novembre e nel dicembre 2012, e non sono state intercettate.

C’erano solo i tabulati. Insomma, non si può dimostrare cosa si fossero detti. E tra di loro, lo ribadisco, parlavano solo di questioni personali». Mazzarella ha anticipato ieri, al termine del processo, che C. e D. impugneranno in appello la sentenza.

SU http://messaggeroveneto.gelocal.it/pordenone/cronaca/2016/12/07/news/soffiate-sui-defunti-8-mesi-a-impresario-e-infermiera-1.14525683

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