Il rifiuto di atti d’ufficio configura un’altra ipotesi di reato omissivo, di cui può rendersi responsabile un professionista sanitario. Diversamente dal reato di omissione di soccorso, che può essere commesso da chiunque, il rifiuto di atti d’ufficio può essere commesso soltanto da colui che riveste la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (pertanto, nel caso dell’infermiere, dal dipendente di una struttura sanitaria pubblica o convenzionata)[42]. L’art. 328 c.p. dispone che: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni” [43]. Atti dell’ufficio sono gli atti dovuti e legati alla competenza funzionale del soggetto. Il rifiuto consiste, dunque, nel diniego di compiere un atto doveroso.
Il sanitario, che riveste lo status di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, ha il dovere, dunque, di non rifiutare un atto del proprio ufficio che, per ragioni di sanità, deve essere compiuto senza ritardo. Il riferimento è “all’atto che ha, per propria natura e a prescindere dall’espressa previsione di un termine entro il quale deve essere compiuto, il carattere dell’indifferibilità, nel senso che deve essere compiuto immediatamente per non pregiudicarne, sia pure potenzialmente, l’utilità e per non determinare l’aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice”[44].
Lo scopo della norma prevista dall’art. 328 c.p. è, infatti, quello di “tutelare, oltre al buon andamento dell’attività della Pubblica Amministrazione, i beni giuridici finali elencati nella medesima disposizione (nella specie, sanità), concepita come delitto, di pericolo concreto; viene, quindi, in rilievo il solo danno potenziale, non essendo necessario che dal mancato compimento dell’atto derivi effettivamente un danno”[45].
Il reato di rifiuto di atti d’ufficio, infatti, si realizza a seguito del comportamento omissivo dell’agente, indipendentemente da eventuali conseguenze dannose per il paziente (morte o aggravamento), la cui realizzazione può determinare il concorso con i reati di omicidio colposo e lesioni colpose[46].
Per quanto concerne, specificatamente, la professione infermieristica, la realizzazione di tale reato si configura ogni qualvolta l’infermiere rifiuti una prestazione dovuta, indipendentemente dalle conseguenze lesive per la salute del malato che derivino da tale comportamento. L’indebita omissione si configura in relazione ad atti non solo direttamente mirati a finalità di cura, ma anche di igiene e di accudimento del paziente, o, semplicemente, di verifica circa le necessità del degente che richiede l’intervento.
Si è ritenuto, pertanto, che “integra la fattispecie del rifiuto di compiere un atto di ufficio il comportamento di una infermiera che, richiesta da un paziente di procedere alla sua pulizia – fattispecie relativa alla pulizia di un paziente portatore di una stomia intestinale le cui feci erano fuoriuscite per il mal posizionamento della sacca – per motivi di igiene e sanità, la ritardi in quanto impegnata nell’attività di distribuzione del vitto, in quanto l’operazione di pulizia personale rivestiva carattere d’urgenza e la prescrizione di tale compito non necessitava di un ordine specifico del medico, sussistendo una direttiva emanata ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 225 del 1974, impartita in via generale e sulla base di turni di servizio”[47].
Ancora,“commette il reato di rifiuto di atti d’ufficio l’infermiere di un reparto di degenza che si rifiuti senza valida giustificazione di accompagnare un paziente in ambulanza in altro ospedale per eseguire un esame radiologico. La prassi di accompagnare un paziente ricoverato in un reparto di degenza in ambulanza presso altro ospedale a effettuare esami radiologici è certamente valida per qualunque ospedale in quanto basata sulla logica considerazione che detto accompagnamento va fatto proprio dall’infermiere che ha seguito colui che è ricoverato nel suo reparto e ne conosce meglio degli altri le problematiche patologiche e le opportune attività di intervento assistenziale che potrebbero rendersi necessarie lungo il percorso”[48].
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