Un giro di micro mazzette sui morti scuote Padova e il suo ospedale. Una trentina di indagati tra cui – al momento – sei infermieri dell’obitorio e diversi titolari di onoranze funebri, tutti protagonisti di un teatrino difficile da raccontare. Corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, truffa e falso in atto pubblico sono i reati contestati in concorso agli operatori sanitari e ai proprietari delle pompe funebri dal pubblico ministero Maria Ignazia D’Arpa, nell’inchiesta che sta arrivano a conclusione. Nei giorni scorsi infatti sono già stati notificati gli avvisi a presentarsi negli uffici della procura ai sei infermieri in servizio in obitorio coinvolti nel giro di mazzette sui cari estinti.
Verranno sentiti sulle accuse che gli sono rivolte e avranno l’occasione di dire la loro. Intanto così, con le notifiche arrivate a destinazione, le voci che da lieve venticello si ingrossano fino a diventare buriana, un anno intero di indagini sotto traccia è venuto allo scoperto. L’inchiesta era nata da un esposto anonimo arrivato al quarto piano del palazzo di Giustizia di Padova a fine estate 2015: raccontava di pompe funebri che pagavano tangenti agli operatori e agli infermieri dell’obitorio per avere un trattamento di favore. Le indagini dal canto loro non hanno fatto altro che confermare nei fatti quanto già raccontato nella denuncia, gettando un cono d’ombra sull’intero obitorio di Padova e sulla gestione dei cadaveri da preparare per il funerale.
Sarebbero decine gli episodi immortalati dalle indagini tecniche degli inquirenti, filmati e intercettazioni che racconterebbero di accordi segreti con cui favorire o meno le onoranze funebri che si vedevano costrette a chinare la testa e stare al gioco imposto dagli infermieri dell’obitorio dell’ospedale civile di via Alvise Cornaro. L’ingranaggio da oliare riguardava la vestizione dei morti che arrivavano sui tavoli dell’obitorio dall’esterno dell’ospedale. Si trattava di persone decedute in casa o in strada, vittime di incidenti o malori improvvisi per cui non era possibile preparare una camera ardente in casa. E su cui l’ospedale aveva messo un ticket di 80 euro per la vestizione e la preparazione al funerale, incombenza che spetta agli operatori socio-sanitari dell’obitorio. Soldi, gli 80 euro, che le pompe funebri pagavano poi allo stesso ospedale. C’era però un modo per raggirare tutto questo: bastava pagare una piccola tangente, 50 o 60 euro al massimo, all’infermiere che prendeva in carica il defunto arrivato da fuori. Spettava a lui lavarlo, pulirlo e vestirlo nel miglior modo possibile da presentarlo poi ai parenti che alcuni giorni dopo gli avrebbero dato l’ultimo saluto. E sempre lui, l’infermiere corrotto, era lo stesso che compilava il foglio in cui certificava all’ospedale che il corpo senza vita era arrivato in obitorio «già composto» e quindi non si era reso necessario nessun servizio.
Nessun servizio voleva dire anche nessun ticket da 80 euro da incassare per l’ospedale. Il servizio però c’era stato e i soldi sborsati dalla pompa funebre e messi in saccoccia dall’infermiere erano poi messi in conto dall’onoranza funebre alla famiglia del defunto. In altre parole l’infermiere intascava una micro mazzetta per un lavoro che in realtà avrebbe dovuto fare comunque perché compreso nel suo stipendio e nelle sue mansioni. Il giochetto andava avanti da anni e a chi non pagava, o peggio accettava di pagare gli 80 euro di ticket per il servizio ufficiale, venivano fatti quelli che gli inquirenti chiamano piccoli dispetti alla salma: la barba fatta male, i capelli spettinati, gli abiti indossati alla rinfusa. Particolari cristallizzati dalle indagini coordinate dal procuratore capo Matteo Stuccilli, che però potrebbero allargarsi nelle prossime settimane arrivando a coinvolgere ben più dei sei infermieri in servizio all’obitorio civile dell’ospedale. Al momento l’inchiesta però non riguarda la gestione dei decessi all’interno dell’ospedale e con loro l’organizzazione dei funerali dei pazienti spirati in corsia.
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