P.Q.M.
Il Tribunale di Pordenone in composizione monocratica, visto l’art. 702 bis c.p.c.,
– rigetta il ricorso promosso da C P;
– compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Si comunichi.
Pordenone, 22.09.2022
TRIBUNALE DI PORDENONE
Il Giudice dott. Gaetano Appierto, a scioglimento della riserva espressa all’udienza del 6.09.2022, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c. n. 925/2022 R.G. promosso da
– PC, nata a il , rappresentata e difesa dall’avv. A D C; ricorrente
contro
– ORDINE DELLE PROFESSIONI INFERMIERISTICHE DI PORDENONE, in persona del Presidente pro-tempore Dott. Luciano Clarizia, con sede in Pordenone, Piazzetta Ado Furlan n. 2, P.IVA e C.F. 91007750937, rappresentato e difeso dall’avv. Aldo Sam; resistente
Oggetto: altri istituti relativi allo stato della persona ed ai diritti della personalità
MOTIVI DELLA DECISIONE
– Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 28.04.2022, la ricorrente adiva il Tribunale di Pordenone per ottenere l’annullamento della delibera del Consiglio dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Pordenone n. 70/2022 del 1.03.2022, con la quale la medesima veniva sospesa temporaneamente dall’Albo per inadempimento all’obbligo di vaccinazione contro il virus Sars CoV2.
Esponeva la ricorrente di svolgere la libera professione di infermiera e di avere ricevuto dal proprio Ordine professionale la comunicazione di sospensione temporanea in quanto non aveva provveduto a sottoporsi alla vaccinazione anti Covid-19. La signora Perosa lamentava, dunque, l’illegittimità del provvedimento sospensivo in quanto contrario ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta Costituzionale, dai trattati comunitari e internazionali.
– Con memoria difensiva depositata il 25.07.2022, si costituiva in giudizio l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Pordenone (d’ora in poi anche semplicemente OPI), chiedendo la reiezione delle pretese avversarie. In particolare, il convenuto eccepiva un possibile difetto di giurisdizione del Giudice adito nonché contestava nel merito le censure avanzate dalla signora P.
– All’esito dell’udienza di comparizione delle parti del 6.09.2022, il Giudice, ritenuta la causa sufficientemente istruita, si riservava la decisione.
* ** *
– In via pregiudiziale, va rigettata l’eccezione, avanzata da parte convenuta, di difetto di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria adita.
È pur vero che l’atto impugnato prevede la possibilità di ricorso dinnanzi al Giudice amministrativo (cfr. doc. 4 fascicolo parte ricorrente).
Tuttavia, alla luce dell’interpretazione della normativa in esame, si ritiene che il vaglio della delibera di sospensione debba essere compiuto dal Giudice Ordinario.
L’art. 4 D.L. 44/2021, come convertito dalla legge n. 76/2021, e modificato dall’art. 8 D.L. n. 24/2022, convertito dalla legge n. 52/2022, ha introdotto un’ipotesi di sospensione temporanea dall’albo – e dunque dall’esercizio dell’attività professionale – per il personale sanitario quale conseguenza automatica e diretta del mancato adempimento all’obbligo vaccinale anti Covid-19.
Così il completamento del ciclo vaccinale anti Sars Cov-2, seppure introdotto per finalità pubblicistiche, diviene un requisito per lo svolgimento dell’attività lavorativa previsto ex lege e sul quale l’Ordine territorialmente competente non detiene alcun potere discrezionale e/o decisorio.
Come correttamente evidenziato dallo stesso Giudice amministrativo “In questo modo, il legislatore ha sostanzialmente introdotto una fattispecie ex lege di inidoneità del “lavoratore della sanità”
incidendo, quindi, a monte e senza l’intermediazione dell’esercizio di potere da parte di alcuna Pubblica Amministrazione, sullo “statuto lavorativo” del sanitario conformando alla tutela dell’interesse pubblico il diritto allo svolgimento dell’attività lavorativa. […]
La sospensione, quindi, non appartiene alla sfera del diritto pubblico, ma assume anch’essa – così come la declinazione dell’obbligo vaccinale in funzione di idoneità alla prestazione lavorativa – un rilievo, in via diretta, strettamente privatistico perché incide direttamente sul rapporto di lavoro o sullo svolgimento della prestazione lavorativa autonoma, quale effetto della sopravvenuta impossibilità temporanea per inidoneità a svolgere l’attività sanitaria; ciò, si ripete, nonostante che la finalità ultima, ma mediata, del legislatore sia quella di tutela della salute pubblica. […]
Ne consegue, che rispetto all’atto di accertamento dell’Azienda sanitaria la situazione giuridica del sanitario non è qualificabile in termini di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo.
La contestazione dell’accertamento di inadempimento, in tal senso, non si risolve nell’impugnativa di un provvedimento o atto amministrativo costituente esercizio di potere, ma nella richiesta di verificare l’effettiva situazione di fatto e diritto sottostante al fine di escludere l’effetto sospensivo ovvero l’insussistenza o la non coercibilità dell’obbligo vaccinale” (Tar Veneto n. 142 del 20/01/2022).
Ciò stante, nella fattispecie in esame, vertendosi in un’ipotesi di tutela dei diritti soggettivi del lavoratore, si ritiene sussistente la giurisdizione del Giudice Ordinario adito.
– Nel merito, il ricorso appare infondato e andrà, per l’effetto, respinto per i seguenti motivi. In primo luogo, non appaiono meritevoli di accoglimento le doglianze della ricorrente in ordine all’illegittimità dell’obbligo vaccinale imposto dall’art. 4 D.L. n. 44/2021 per contrarietà ai principi costituzionali.
In tema di vaccinazioni obbligatorie, la Corte Costituzione ha avuto modo di affermare già da tempo come l’imposizione ex lege di un trattamento sanitario non sia incompatibile con l’art. 32 Cost. se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, e purché lo stesso non incida negativamente sullo stato di salute del soggetto, salvo che in misura temporanea e tollerabile (Corte
Cost. n. 307/1990; Corte Cost. n. 258/1994; Corte Cost. n. 107/2012; Corte Cost. n. 268/2017).
Ebbene, alla luce del consolidato principio di diritto testé richiamato, la norma impositiva della vaccinazione contro il virus Sars Cov2 per il personale sanitario risulta pienamente compatibile con l’ordinamento costituzionale nazionale.
In particolare, per quanto attiene al profilo della tutela della salute pubblica, la vaccinazione anti Covid-19 si è dimostrata un utile strumento per contrastare la diffusione del contagio, congiuntamente alle altre misure di contenimento adottate dalle Autorità Nazionali, e per preservare la salute dei soggetti più vulnerabili.
ome attestato dal report dell’Istituto Superiore di Sanità e dai dati diffusi dagli enti istituzionali, il vaccino è risultato efficace nel prevenire la diagnosi da
infezione da Sars Cov2 e i casi di malattia severa, seppure con percentuali variabili a seconda del grado e del tempo del ciclo vaccinale (cfr. doc. 2 fascicolo parte convenuta).
Ciò stante, se è pur vero che l’imposizione di un obbligo vaccinale comporta una costrizione del diritto alla salute e all’autodeterminazione del singolo – da intendersi, anche, come diritto a non sottoporsi ad un trattamento sanitario -, è altrettanto vero che tale compressione risulta giustificata dalla tutela della salute dell’intera collettività come interesse pubblico superiore (cfr. Corte Cost. n.
107/2012 “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”; Consiglio di Stato 3.02.2022 “Deve in questa sede ribadirsi che il diritto all’autodeterminazione di quanti abbiano deciso di non vaccinarsi è da ritenersi recessivo rispetto alla tutela di beni supremi quale è la salute pubblica, specie in considerazione del fatto che il provvedimento di sospensione, ove adottato, non ha funzione sanzionatoria e non pregiudica in alcun modo il rapporto di lavoro”).
Per quanto attiene, invece, alla salute del singolo, secondo lo stato attuale delle conoscenze scientifiche e degli studi clinici sino ad ora condotti, il vaccino non pare presentare conseguenze negative, se non quelle ordinarie e tollerabili.
A tal proposito, non risultano supportate da fonti scientifiche ufficiali e autorevoli le censure mosse dalla ricorrente in ordine alla presenza di un numero elevato di gravi reazioni avverse cagionate dai vaccini in uso (quali, a titolo esemplificativo, miocarditi ovvero fenomeni di cosiddette “morti improvvise”).
In primo luogo, i dati statistici, se correttamente contestualizzati e analizzati, dimostrano come le reazioni avverse si siano verificate in rare occasioni, confermando così un rapporto rischio/beneficio favorevole per i farmaci vaccinali in commercio (cfr. doc. 1 fascicolo parte convenuta).
Ad ogni buon conto, anche in occasione di eventi avversi, si dovrebbe procedere con un’indagine caso per caso per verificare se la reazione nefasta segnalata sia eziologicamente ricollegabile all’inoculazione del vaccino.
Parimenti infondate appaiono le doglienze della ricorrente in ordine ad una violazione dei principi costituzionali per essere il vaccino immesso in commercio all’esito di sperimentazioni cliniche incomplete e sulla base di autorizzazioni condizionate.
Va primariamente precisato come i vaccini contro il Sars Cov-2 non siano farmaci sperimentali, avendo completato il processo di sperimentazione clinica.
Secondariamente, siffatti prodotti vaccinali sono stati commercializzati a seguito di una procedura di autorizzazione “condizionata” (cd. CMA) rigorosamente disciplinata dalla legge, la quale non ha comportato alcuna deroga agli standard di sicurezza ed efficacia del farmaco.
Come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, “la CMA è una procedura in cui la maggiore rapidità e la parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione – nel gergo medico: fast track/partial overlap – consentono di acquisire dati sufficientemente attendibili, secondo i parametri proprî della medicina dell’evidenza, in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci, come dimostra proprio l’ampio ricorso a questa stessa procedura – ben 30 volte – nel
decennio tra il 2006 e il 2016 con apprezzabili risultati, poi confermati, e l’autorizzazione condizionata si colloca pur sempre a valle delle usuali fasi di sperimentazione clinica che precedono l’ordinaria immissione in commercio di qualsiasi farmaco, senza che per questo ne vengano sminuite la completezza e la qualità dell’iter di ricerca e di sperimentazione” (Consiglio di Stato n. 7045/2021).
Ciò stante, appare legittima l’imposizione dell’obbligo vaccinale all’esito di sperimentazioni complete e adeguate, condotte in conformità alla normativa in materia.
Risultano altresì prive di pregio le censure della ricorrente in ordine alla violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione per essere l’obbligo vaccinale discriminatorio in quanto diretto al solo personale sanitario.
Il principio di uguaglianza consente, infatti, di adottare anche trattamenti differenziati se ragionevoli e motivati.
Nel caso di specie, l’imposizione della vaccinazione per i soli esercenti le professioni sanitarie risponde all’esigenza di tutelare sia i medesimi, in quanto soggetti maggiormente esposti al rischio di contagio, sia i pazienti, in quanto soggetti vulnerabili e bisognosi di cura.
Richiamando le condivisibili argomentazioni del Consiglio di Stato in ordine alla vaccinazione contro il Sars Cov2, “quanto alla natura discriminatoria della previsione, infine, il carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione
che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia” (Consiglio di Stato 7045/2021).
Non da ultimo, non sembrano ravvisabili i contrasti con la normativa comunitaria e internazionale come lamentati dalla signora P.
Infatti, tanto la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea quanto la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretate dalle rispettive Corti, consentono l’ingerenza pubblica nella sfera privata e familiare dei singoli al ricorrere di determinate rigorose condizioni e al fine di tutelare interessi superiori, quali la salute pubblica.
In particolare, in tema di vaccinazioni obbligatorie, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di precisare come l’ingerenza nella vita privata determinata dall’obbligo vaccinale risulta giustificata – e come tale legittima – ove persegua un obiettivo legittimo, quale può essere la protezione della salute collettiva e dei soggetti più vulnerabili (sentenza Vavřička e altri c. Repubblica Ceca del 8.04.2021).
Come già supra argomentato, l’imposizione di un obbligo vaccinale nel caso in esame risponde al Superiore interesse di tutela della salute dell’intera collettività – con specifico riguardo ai soggetti più fragili – e viene perseguita con l’impiego di un farmaco sicuro ed efficace, prodotto sulla base di un adeguato sistema di controlli da parte delle Autorità nazionali.
Pertanto, ritiene questo Giudicante di non dover dare seguito alla richiesta della ricorrente di disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto sovranazionale ovvero alla rimessione della questione alla Corte di Giustizia della Comunità Europea attraverso il rinvio pregiudiziale.
In conclusione, l’imposizione della vaccinazione contro il Sars Cov-2 agli esercenti le professioni sanitarie risulta pienamente legittima sia sotto il profilo del diritto nazionale che di quello sovranazionale e internazionale, di tal che la deliberazione impugnata appare incensurabile.
– La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Pordenone in composizione monocratica, visto l’art. 702 bis c.p.c.,
– rigetta il ricorso promosso da Cristina Perosa;
– compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Si comunichi.
Pordenone, 22.09.2022
Il Giudice
dott. Gaetano Appierto
sentenza tribunale di Pordenone Perosa contro OPI