PISTOIA: «Ucciso unicamente dal tragico errore di quell’infermiera». La morte fu causata unicamente dal taglio del cavetto di alimentazione e di controllo di quella piccola pompa applicata al ventricolo sinistro. E le complicazioni in corso al momento dell’arrivo del paziente in ospedale sarebbero state con un’elevata probabilità superate attraverso l’adeguamento dell’apparecchiatura ai parametri vitali del momento e della terapia farmacologica.
Davanti al giudice monocratico Raffaele Marino, sono state quelle dei due consulenti della pubblica accusa le testimonianze al centro dell’udienza di ieri del processo per la morte Roberto Sibaldi, il sessantanovenne cardiopatico pistoiese spirato la sera del 20 marzo 2012 al pronto soccorso del Ceppo, dove era giunto in codice rosso per una grave crisi respiratoria.
Sul banco degli imputati, accusata di omicidio colposo, R. M., l’infermiera di 59 anni che per un tragico errore recise, con un colpo di forbici, nel tagliare i pantaloni dell’anziano paziente per inserire un catetere vescicale, l’unica fonte di alimentazione del sofisticato dispositivo che lo teneva in vita.
Quattro mesi prima, R. S., sposato e padre di due figli, era stato sottoposto, allora unico in Toscana, all’innovativo intervento, all’ospedale San Raffaele di Milano. Il suo cuore non ce la faceva più e l’unico modo per garantire un sufficiente afflusso di sangue agli organi vitali era stato l’impianto di un Vad (Ventricular assestement device), una pompa artificiale che sostituisce il ventricolo sinistro nel pompaggio del sangue, attraverso un bypass collegato direttamente all’aorta discendente. E quando alle 21,38 di quel 20 marzo il cavetto di alimentazione (che fuoriusciva dall’addome del paziente all’altezza dell’ombelico per collegarsi a centralina e batteria, contenute in una borsa-marsupio in quel momento appoggiata tra le gambe, sulla barella), fu reciso, il Vad si arrestò di colpo. Inutile ogni tentativo di rianimazione.
Il rappresentante in pensione sarebbe morto ugualmente a causa della crisi in corso? Contrariamente a quella che è la tesi difensiva di imputata ed Asl (in giudizio in veste di responsabile civile), secondo i periti del pm no.
«Non ho trovato altre situazioni che avrebbero condotto alla morte – ha spiegato ieri il medico legale A. A., che eseguì l’autopsia – Durante l’esame autoptico ho riscontrato solo un iniziale edema polmonare, ma niente di più. Il flusso di sangue necessario alla vita era assicurato dal dispositivo impiantatogli, costante e continuo. Solo se avesse avuto un infarto acuto con la rottura della parete del cuore la macchina non avrebbe potuto tenerlo in vita. Ma la struttura cardiaca di questo cuore gravemente alterato era integra».
Così come perfettamente integro e correttamente installato era risultato il Vad, senza presenza di coaguli al suo interno.
A fianco del medico legale nella perizia disposta dalla procura, la cardiologa T. G., anche lei chiamata a testimoniare ieri.
«Non abbiamo riscontrato alcun problema che avrebbe condotto alla morte, neanche uno – ha spiegato riferendosi alla documentazione medica esaminata per condurre la perizia – Codice rosso non significa punto di non ritorno. Il pronto soccorso è dedicato proprio a questo tipo di pazienti. Quello del paziente era un quadro di edema polmonare conclamato, ma quasi tutti questi casi vengono normalmente recuperati: avrebbe avuto un’altissima probabilità di uscire dall’emergenza».
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