Morte all’ospedale a Piombino, F.B. vuole il risarcimento dall’Asl
Livorno, aperto il procedimento tra l’infermiera accusata di 14 delitti e l’azienda ospedaliera per il trasferimento da Rianimazione
LIVORNO. F.B., l’infermiera dell’ospedale di Piombino accusata di aver ucciso quattordici pazienti con l’ eparina tra i l gennaio 2014 e il settembre dell’anno successivo, ha chiesto all’Asl l’annullamento del trasferimento – comunicatole il 19 ottobre dello scorso anno – dal reparto di Rianimazione di Villamarina agli ambulatori e soprattutto un risarcimento danni da quantificare. La richiesta è stata formalizzata ieri mattina nella prima udienza della causa di lavoro che l’infermiera ha intentato contro l’azienda sanitaria dalla quale è tutt’oggi sospesa, ma, come prevede il contratto, percepisce una sorta di rimborso alimentare che sfiora i mille euro mensili.
Nell’aula al primo piano del Tribunale civile di Livorno, la B. si è presentata accompagnata dai suoi avvocati. Davanti alla giudice F.C. anche il legale dell’Asl 6, l’avvocato L.C.. L’udienza, iniziata intorno alle 10, si è protratta per circa un’ora all’interno della stanza del giudice. Si è trattato, a livello procedurale, di un’udienza interlocutoria che «ha riguardato questioni preliminari» che però, tra le pieghe dei documenti depositati dalle parti, lascia intravedere molto di quello che sarà il cuore della causa e il campo di battaglia legale dentro al quale si combatteranno torti e ragioni.
Nella citazione dell’avvocato dell’infermiera, solo per fare un esempio, si fa infatti riferimento ai tre cardini su cui si basa il ricorso contro il trasferimento e la richiesta di annullamento dello stesso. A cominciare da una presunta discriminazione da parte dell’Azienda nei confronti della donna, a cui si aggiunge la violazione del contratto e dunque la non fondatezza del provvedimento dell’Asl 6. Dunque nel caso venisse accolto il ricorso, la B. al termine della sospensione rientrerebbe nel reparto di Rianimazione. A margine dei motivi della citazione c’è anche – come detto – la richiesta, in caso di accoglimento del giudice, di un risarcimento danni che però «dovrà essere quantificato da un consulente», tenendo conto soprattutto dei danni morali patiti dalla dipendente. A queste richieste l’Asl 6 si è opposta «su tutta la linea», con una memoria attraverso la quale si è costituita ufficialmente nel giudizio.
In quella che può essere definita come una partita a poker, le due parti giovedì 29 settembre hanno dunque scoperto le carte. E adesso che succede? Due variabili che potrebbero intervenire nella soluzione del procedimento. Una riguarda direttamente la giudice incaricata della causa che ieri – com’era prevedibile – si è riservata. Toccherà a lei adesso decidere se ammettere o meno i testimoni delle parti oppure chiedere l’intervento di un consulente oppure discutere direttamente la causa. In ogni caso la stessa magistrato dovrà fissare una nuova udienza.
È evidente però, spiegano dall’Asl 6, che sulla decisione del tribunale civile peserà e come quello che avverrà in sede penale. L’indagata – che si è sempre professata innocente -durante alcune interviste rilasciate in tv ha raccontato sia il clima che si respirava nel reparto di Rianimazione dell’ospedale di Villamarina «le colleghe mi hanno sempre difeso a denti stretti e mi sono venute tutte a trovare», ma «il primario» e «la caposala». E ha spiegato di aver denunciato lei stessa che qualcosa non andava in quel reparto: «Si sapeva da tanto tempo, non so se dal 2014 ma certamente nel 2015 io ho chiesto più volte alla caposala e al primario. La prima non mi ha mai risposto, secondo il primario invece era tutto regolare».
A precisa domanda, e dopo aver escluso l’ipotesi di un serial killer, la B. nei mesi scorsi, e più precisamente pochi giorni dopo essere uscita dal carcere ha risposto che sì, secondo lei quello che è avvenuto a Villamarina è «un caso di malasanità». E dunque lei è una vittima, anche sul lavoro.
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