“Era chiaro che quest’altra ondata sarebbe arrivata. Quando, non era prevedibile, e forse di questa intensità non se l’aspettava nessuno, almeno in Emilia-Romagna, ma abbiamo un sistema che sa reggere”.
Oggi “i sacrifici sono ancora più di marzo, quando non avevamo un anno di pandemia sulle spalle e quando soprattutto avevamo dall’altra parte chi ci spingeva, le persone che ti erano vicine. Oggi tutto questo non c’è più”.
È la testimonianza all’ANSA di Andrea Finelli, infermiere esperto dell’area emergenza dell’ospedale Maggiore di Bologna da poco trasferito in terapia intensiva, sul momento critico che anche la categoria degli infermieri sta vivendo in queste settimane di recrudescenza del coronavirus.
“Quello che più colpisce, me e i miei colleghi”, dice Finelli, che è anche consigliere del direttivo dell’Ordine infermieri di Bologna, “oltre alla difficoltà della nostra forza fisica è anche quella mentale, la nostra tenuta. Noi infermieri siamo come una squadra in maratona, con la consapevolezza che davanti si ha una maratona di 42 chilometri”. “Ci vuole però la collaborazione di tutti – sottolinea – Siamo in una fase emergenziale che non è passata. Vediamo invece una inconsapevolezza, un allentamento del rispetto delle regole.
Siamo in zona rossa, non si può andare al parco a fare la partita di pallone. Fuori oggi vediamo assembramenti”. Sembra che il virus non tocchi e invece “ci stiamo rendendo conto, anche i colleghi sulle ambulanze, che arrivano con Covid persone sempre più giovani”. I professionisti sanitari, aggiunge, “ci stanno mettendo tutto quello che possono, fino al midollo, ma non siamo ancora fuori dal guado: vediamo l’altra parte del fiume ma il guado è ancora lungo e difficile”.
“I colleghi sono stremati – dice Finelli – alcuni, i più giovani, ventenni, crollano in un pianto liberatorio a fine turno. Soprattutto quando in reparto arrivano pazienti gravi di 40-50 anni che possono essere loro genitori”.