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In caso di licenziamento per il venir meno della necessità di personale addetto ad una determinata mansione e disattendendo la richiesta del dipendente di essere preposto ad altre attività equivalenti o inferiori, come va inteso il repechage?  Per la Suprema Corte premette che, passato, costituiva assunto consolidato quello secondo il quale il licenziamento disposto per ragioni inerenti l’attività produttiva è legittimo qualora non sia possibile impiegare il lavoratore destinatario della risoluzione del rapporto in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.

Da quanto punto di vista, la possibilità di repechage va condotta con riferimento a mansioni equivalenti. Nel corso del tempo, tuttavia, la giurisprudenza ha iniziato ad essere più flessibile sulla questione, derogando alla regola appena esposta nei casi in cui l’interesse del dipendente alla conservazione del posto di lavoro fosse prevalente rispetto alla necessità di estinguere il rapporto pur di salvaguardare una professionalità che verrebbe, comunque, compromessa.

In altre parole, il datore, prima di intimare il licenziamento, deve cercare soluzioni alternative e, se esse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, dovrà comunicare al dipendente il possibile demansionamento: solo se la soluzione alternativa non viene accettata, il datore è libero di recedere dal rapporto. Principi, questi, validi sia nell’ipotesi di infermità permanente del lavoratore sia di riorganizzazione aziendale

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 22798/16; depositata il 9 novembre)

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