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Succede che in Regione Veneto si mischia il sacro con il profano, che un diritto diventa una opzione sub judice, che il primo che si alza mischia e distribuisce le carte a suo piacimento, che aspetta che il giocatore faccia la prima mossa.

“Les jeux sont faits, madame e monsieur”, direbbe il croupier di quello che è diventato il casino (senza accento sulla o…) di Venezia e non il tempio dell’azzardo.

In laguna o nei colli o nelle alte vette, l’allentamento non è tanto nei vincoli di esclusività, quanto nella capacità di resistere alla creatività di funzionari che contaminano una legge dello Stato con derive regionali.

Anche nel Veneto e fino al 31 dicembre 2023, agli operatori delle professioni sanitarie appartenenti al personale del comparto sanità, al di fuori dell’orario di servizio e per un monte ore complessivo settimanale non superiore a otto ore, non si applicherebbero le norme sull’incompatibilità.

Una norma non chiarissima ma scritta in italiano e non in venessian.

L’oggetto del contendere è l’autorizzazione: chi autorizza chi, chi rifiuta come, chi dichiara cosa, chi diniega se.

Che l’azienda di appartenenza possa rifiutarsi di concedere le 8 ore settimanali è da escludersi.

Che l’ azienda stessa possa poi accendere un riflettore sulla vita professionale privata oltre le 36 ore contrattuali, anche.

Più che istruzioni, distruzioni.

Speriamo resti un caso isolato e che venga impugnato da qualche organizzazione sindacale per essere cassato.

Si alzi un pietoso velo, e se si potesse azionare il Mosè per la melma alta, non sarebbe una pessima idea.

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