GROSSETO. La Asl è stata condannata a pagare 25mila euro (coperti da assicurazione) a un’infermiera professionale per i danni causati da un infortunio avvenuto sul luogo di lavoro ben 14 anni fa. La donna, addetta al reparto di otorinolaringoiatria, stava preparando una paziente quando una collega aveva aperto una confezione contenente un ago-cannula, il mandrino metallico era schizzato via e la donna era stata colpita all’occhio. Era stato necessario un intervento chirurgico, l’Inail aveva già liquidato circa 8mila euro per la menomazione (0,8%). Qui era in discussione il cosidetto “danno differenziale”.
Il giudice Giuseppe Grosso ha riconosciuto come fondato il ricorso dell’infermiera (presentato nel 2013), assistita dall’avvocato Paola Pippi, anche se con alcuni distinguo. Innanzi tutto, il giudice ha evidenziato che non c’è responsabilità del datore di lavoro nel mancato rispetto degli obblighi di prevenzione. Il dispositivo (fabbricato da Artsana, anch’essa chiamata in causa) era in uso dal 1999 e non aveva mai presentato problemi: un esperimento è stato fatto anche davanti al giudice, l’apertura del dispositivo a “velocità normale” non ha presentato inconvenienti. Il ministero, avvertito, non aveva ritirato il prodotto, utilizzato ancora per 5 anni dopo l’infortunio. Non si può escludere che quel preciso dispositivo possa aver avuto dei difetti, aggiunge il giudice, ma ciò è tema di una causa per responsabilità extracontrattuale (ce n’è già una in atto, parallela, dal 2013). «Se la sussistenza di un difetto costruttivo è condizione necessaria e sufficiente per avanzare la detta domanda risarcitoria nei confronti di Artsana, non lo è rispetto all’Azienda sanitaria che utilizzava il detto dispositivo in carenza di ragioni apprezzabili che avessero dovuto, per contro, indurre a un diverso comportamento sì da scongiurare potenziali danni ai propri lavoratori», osserva il giudice.
È invece certa l’imperizia della collega, che aveva aperto con una forza impropria la confezione: un caso isolato. E così l’azienda sanitaria deve rispondere del danno causato all’infermiera dalla collega «nulla rilevando la circostanza, invocata dalla difesa dei Lloyd’s, che l’infortunata non abbia convenuto in giudizio la collega, non essendovi affatto tenuta». Gli assicuratori Lloyd’s erano stati chiamati in causa dalla Asl, su autorizzazione del giudice: l’azienda chiedeva di essere tenuta indenne per ogni somma che sarebbe stata condannata a pagare. E così è stato.
Il giudice ha calcolato il danno non patrimoniale in 7.350 euro e quello connesso ai postumi permanenti in 14.795 euro, incrementato del 15 per cento per il danno biologico riconosciuto (17.014 euro). Ai 24.364 euro totali si aggiungono i 1.236 euro per spese mediche sostenute, per un complesso di 25.600 euro, più interessi. Il giudice ha ordinato che venga detratto quanto già ricevuto dall’Inail e ha condannato Lloyd’s a tenere indenne l’Asl di Grosseto perché il danno differenziale non è coperto dall’indennizzo corrisposto a copertura dell’assicurazione obbligatoria. La compagnia dovrà coprire anche le spese di giudizio (3.000 euro).