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Il ranking è frutto del lavoro di un qualificato panel di esperti provenienti da tutta Italia: ottantatré rappresentanti delle diverse categorie di stakeholder. Vale a dire: utenti, management aziendale, professioni sanitarie, istituzioni e industria medicale. I giudizi raccolti sono stati poi elaborati per dar vita a un indicatore complessivo di performance dei servizi sanitari regionali.

E cosa registra questo indicatore? Un’oscillazione che va da un massimo di 0,63 a un minimo di 0,33 (si tenga presente che, nella scala utilizzata, il valore più alto raggiungibile era 1, quello più basso 0). Il Veneto, passando ai risultati, è l’area del Paese dove secondo la ricerca si viene assistiti meglio; la Campania — di contro — è ultima in classifica e si becca un brutto 3+ in pagella. I dati diffusi qualche giorno fa nell’ambito del progetto «Una misura di performance dei Servizi sanitari regionali», condotta dal Crea (Università di Roma Tor Vergata), non lasciano spazio all’ottimismo.

Anzi, segnalano addirittura un peggioramento rispetto al 2013, quando più giù della Campania erano in quattro: Calabria, Puglia, Sicilia e Lazio. La Penisola, stando sempre al Rapporto 2016 di Crea, vive evidenti diseguaglianze nell’erogazione di uno dei servizi più essenziali per i cittadini. E non inganni il range tutto sommato ridotto nel quale si muove l’indice unico di performance: si possono distinguere, infatti, tre gruppi di regioni ben definiti in base ai livelli di assistenza.

Il primo è quello definito dal dossier stesso dell’eccellenza e ne fanno parte Veneto, Provincia autonoma di Trento, Toscana e Piemonte; seguono, in posizione intermedia e omogenea, ma comunque su standard accettabili, Friuli Venezia Giulia, Provincia autonomia di Bolzano, Lombardia, Basilicata, Umbria, Emilia Romagna, Marche, Lazio; chiudono nove regioni; «convenzionalmente l’area critica» : Liguria, Valle d’Aosta, Abruzzo, Sardegna, Sicilia, Molise, Puglia, Calabria e appunto Campania. Che è maglia nera in ogni graduatoria intermedia, dalla categoria «management aziendale» a quella «istituzioni», e si salva dall’ultimo posto — lasciato alla Calabria — solo per l’«industria medicale» .

Le diseguaglianze assumono i contorni tragici quando si affrontano temi più concreti come, per esempio, l’«aspettativa di vita oltre 75 anni libera da disabilità». Se a Trento, Bolzano, in Lombardia ed Emilia gli anziani possono contare su più di 9 anni da trascorrere serenamente in autonomia, in Campania non si va oltre i 7,4. E sempre nella nostra regione la quota di persone che rinuncia a curarsi per non pagare i ticket — quando non ci si trova di fronte all’inferni dell’assistenza indiretta — tocca il 15,3%. Altro record poco invidiabile, dal momento che a Trento il dato scende fino all’1% e in Piemonte, Friuli e Basilicata (isola felice del Sud) la quota è comunque intorno al 3%.Numeri che devono far riflettere soprattutto alla luce delle recenti rivolte per gli ospedali che chiudono o per le difficoltà palesate nelle ultime settimane nell’offerta (che dovrebbe essere) altrettanto essenziale di welfare. Giovani disabili che non possono andare a scuola, anziani non autosufficienti che rischiano di restare soli a casa. Sullo sfondo, il solito quanto crudele gioco a rimpallarsi le responsabilità.

Che dire, poi, della tassazione ultrapesante — la più pressante del Paese — imposta da anni ai campani per rimediare ai deficit della sanità? Buchi che sono stati evidentemente frutto (anche) di inefficienze e sprechi. Ora il dossier di Crea ci ricorda, se necessario, che la situazione non sta migliorando e che è impossibile tenere bassa la tensione quando si ha a che fare con la vita altrui. Perché l’assistenza è un diritto che non può essere sacrificato. Per niente e per nessuno.

PAOLO GRASSI SU ((http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/politica/16_novembre_02/sanita-tre-pagella-6969a780-a0d1-11e6-b4f1-839eace85a9a.shtml))

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